Influencer Marketing 12 Novembre 2025

La fedeltà non ha prezzo: non si compra, si conquista

By: Matteo Pogliani
La fedeltà non ha prezzo non si compra si conquista

Troppo spesso i brand riducono la loyalty a una mera questione di numeri: “quanto hai acquistato?” o “di quanto sconto hai approfittato?”.

Eppure, la fedeltà autentica è ben diversa: è fatta di emozione, valori condivisi e connessioni vere che fanno sentire il cliente un complice, non solo un acquirente.

C’è chi rimane fedele per assenza di alternative (e sono clienti costretti, non coinvolti) e chi salta da un brand all’altro per pura convenienza economica. I clienti veri, invece, scelgono di restare perché il brand è coerente, mantiene le promesse e offre esperienze memorabili, non limitandosi alla sola vendita.

Questo fraintendimento su come funziona la fedeltà ha radici profonde. L’evoluzione tecnologica ci ha illusi, trasformando la loyalty in un enigma di marketing da ottimizzare (più iscritti, più vantaggi), facendoci dimenticare che è, prima di tutto, una relazione viva da coltivare.

Progettare relazioni con intenzione: lo shift necessario

È tempo di re-immaginare la loyalty. Non si tratta più di retention tattica, ma di progettare relazioni con intenzione. Lo shift deve avvenire dal concetto di “ho comprato di nuovo” a “lo faccio perché ci sento dentro qualcosa”.

Questo implica comprendere che la loyalty non è un comparto a sé, ma il naturale contraltare orientato al consumatore del brand building. 

Nelle scienze comportamentali, questo si chiama person–brand congruence. Non basta premiare; bisogna disegnare esperienze che si intreccino in modo autentico e duraturo nella vita delle persone.

La sfida non è trattenere il cliente con barriere economiche o strutturali, ma creare le condizioni affinché la scelta di restare sia libera, naturale e desiderata

Per questo, la loyalty non può ridursi a un programma, ma deve essere ripensata come un sistema di relazione.

Per fare ciò, dobbiamo tenere a mente tre driver fondamentali:

  1. Connessione emotiva: non bastano le offerte, serve sentirsi parte di qualcosa;
  2. Valori condivisi: quando il brand parla il linguaggio del cliente, la connessione persiste;
  3. Esperienza coerente + crescita reciproca: ogni interazione deve essere utile, autentica e memorabile.

L’ecosistema della fedeltà

La fedeltà è un processo profondamente umano, basato su legami psicologici e motivazioni interiori. Nasce e persiste grazie a un ecosistema complesso.

Ci sono i quattro legami della loyalty, che raccontano come la fedeltà si forma:

  1. Emotivi: valori e identità condivisi;
  2. Sociali: il sentirsi parte di una comunità affine;
  3. Strutturali: la praticità di restare, rendendo più difficile andarsene;
  4. Finanziari: vantaggi e incentivi concreti (sconti, punti).

E poi ci sono le quattro dimensioni della loyalty, che spiegano perché quella fedeltà resiste:

  1. Principio: il brand riflette i miei valori?
  2. Potenziale: mi aiuta a crescere e a migliorare la mia vita?
  3. Cultura: si integra nel mio mondo quotidiano?
  4. Community: mi fa sentire parte di qualcosa?

Questi elementi non sono separati; i legami sono le fondamenta, le dimensioni sono la prova del tempo. Solo nell’incrocio tra legami e dimensioni la fedeltà diventa reale e smette di essere solo un numero su un CRM.

Dalla transazione alla trasformazione

Per anni, ci siamo concentrati troppo sui legami strutturali e finanziari (sconti, programmi fedeltà), convinti che la convenienza bastasse a trattenere i clienti. Ma questi fattori da soli non generano connessione autentica.

Un cliente potrebbe iniziare a restare per un legame strutturale (come una banca che offre prelievi gratuiti), ma la fedeltà vera emerge quando quel brand è in grado di operare anche a livello delle quattro dimensioni: parlando di Principio (es. finanza etica), offrendo Potenziale (strumenti per il futuro), incarnando una Cultura e alimentando una Community (obiettivi finanziari comuni).

Quando un brand riesce in questa operazione, la loyalty non è più un esercizio transazionale, ma un’esperienza trasformativa.

Loyalty oltre i punti: il valore come ancora in tempi fragili

Trattenere un cliente è meno costoso che acquisirne uno nuovo. In un ecosistema complesso, reso saturo dall’accelerazione dei contenuti data dall’AI, la loyalty diventa ancora più centrale. Le persone cercano un legame che vada oltre il programma punti.

Tra le quattro dimensioni, quella del Principio emerge in modo netto. Non è un caso: viviamo in una crisi globale di valori. Migrazioni, guerre, cambiamento climatico, pandemie, fratture sociali e digitali hanno eroso la fiducia nelle istituzioni. 

L’Edelman Trust Barometer indica che i governi sono percepiti come meno etici e meno competenti delle imprese

In questo vuoto di fiducia, le persone scelgono il consumo come forma di agency: spendere diventa un atto di micro-democrazia, un modo tangibile per affermare le proprie convinzioni.

È un salto breve: dalla fiducia alla fedeltà. Senza la prima, la seconda non può esistere. Se un brand riflette i valori delle persone, la fedeltà ne è la conseguenza naturale; non è una strategia di retention, ma un patto che resiste nel tempo.

Valori condivisi: la vera metrica della loyalty

Ormai è una certezza: i consumatori ritengono che il fattore più importante nella relazione con un brand non siano le offerte, ma il suo comportamento rispetto ai valori.

I brand devono vivere i valori dei propri clienti e renderli evidenti nelle scelte di comunicazione e marketing. Il silenzio non è più un’opzione, anche se il contesto è polarizzato.

L’esempio da evitare? Bud Light.

In un mondo incerto, dove le persone si sentono escluse dai centri di potere, i brand sono percepiti come proxy e amplificatori delle voci dei consumatori, non tanto per schierarsi, quanto per incarnare un’etica riconoscibile e rispettata (una pura questione di appartenenza).

È essenziale distinguere tra performance e sostanza. I consumatori hanno smascherato il tokenism: non basta sventolare un valore, serve tradurlo in impatto concreto.

Valori e cultura: tra riflesso e guida

La via più sicura per un brand sembra essere quella di riflettere la cultura dei propri clienti. Nella maggior parte dei casi, i brand preferiti sono visti come specchi che restituiscono ciò che le persone vivono e pensano. Questione di affinità, di trust.

I consumatori vogliono che i brand non solo agiscano, ma diano voce ai valori in cui credono, nonostante i backlash nati dalle guerre culturali degli ultimi anni.

Millennial e Gen Z spingono affinché i brand siano driver culturali, guidando verso un mondo più vicino ai loro valori. Questo crea una tensione per i marketer, poiché giocare sul sicuro non basta più quando il target chiede di spostare l’asticella.

Agire per migliorare il mondo (ma con misura)

C’è poi un’altra richiesta che sentiamo risuonare da tempo: che i brand contribuiscano a migliorare il mondo

L’entusiasmo qui è meno forte rispetto ad altri driver, probabilmente perché le persone sono consapevoli dei limiti di tale richiesta.

Sia chiaro, nessuno si aspetta che un’azienda da sola risolva la crisi climatica o renda il pianeta equo e sicuro. E proprio per questo dobbiamo essere bravi a misurare obiettivi e promesse. È sempre meglio agire in modo concreto, con impatti tangibili, che promettere l’impossibile.

Nonostante la consapevolezza dei limiti, non possiamo toglierci questo impegno: i consumatori vogliono che i brand facciano la loro parte, soprattutto quando questi si fanno portatori in modo forte di valori.

Da acquirenti a parte di una community

In un mondo scettico e diffidente, le persone cercano appigli e li trovano spesso in coloro che sentono simili. I consumatori danno grande valore all’orientamento alla comunità nei brand a cui restano fedeli.

Le voci autentiche sono emerse, ma questo equilibrio è fragile. L’intelligenza artificiale incrina questa autenticità

Se da un lato virtual influencer e personaggi sintetici come Miquela conquistano notorietà, dall’altro la proliferazione di contenuti artificiali (AI slop) ha eroso la fiducia, spingendo i consumatori a dubitare persino delle informazioni dei pari.

La comunità rimane una leva potente, ma difenderne l’autenticità sarà la vera sfida per i brand che vogliono trasformarla in fedeltà. La loyalty basata sul senso di appartenenza, sulla cultura condivisa e sulla crescita reciproca trasforma la vendita in convivenza.

Matteo Pogliani

Toscano di nascita ma lombardo di adozione, ho parlato prestissimo e non ho più smesso. Social media & Web strategist in Open-Box - Autore del primo libro italiano sul tema dell'Influencer Marketing

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