
C’è una soglia, nel marketing, oltre la quale i numeri non bastano.
E c’è un tema – come il Pride – che questa soglia la supera da tempo.
Non è solo un evento. È una dichiarazione, un campo semantico, un acceleratore di posizioni. E, sì, anche un terreno minato.
Il report della unit Insight di Openbox sul Pride 2025 parte da qui: non dai like o dalle view, ma dal tentativo di leggere un fenomeno che, online, continua a generare attenzione. Ma anche polarizzazione, tensioni, opinioni che si scontrano.
I numeri ci sono. Ma sono una superficie.
- 139.000 mention;
- 35.000 utenti unici;
- 219 milioni di impression;
- 2,7 milioni di interazioni.

Cifre che raccontano una cosa sola: il Pride è ancora un tema centrale. Ma è il sentiment a restituire il vero scatto d’insieme.
46% negativo. Un dato che dice molto. Ma non per forza in senso assoluto. Perché il Pride non divide solo. Il Pride attiva. Muove. Costringe a posizionarsi.
Le criticità? Prevedibili e reali: le polemiche politiche, i temi “estranei” al movimento (Gaza in primis), il dibattito su costi e risorse pubbliche.
I driver positivi? Più profondi di quanto si pensi: il senso di comunità, la celebrazione dell’identità, la partecipazione di volti noti, l’inclusività raccontata come emozione collettiva.
Il Pride non è neutro. Ma non è nemmeno solo divisivo.
È un acceleratore culturale. E i brand non possono più permettersi di trattarlo come un’occasione di calendario.
TikTok lo ha capito meglio di altri
Su TikTok il Pride trova la sua audience più vivace: sono infatti oltre 5.000 i video pubblicati con ben 85 milioni di visualizzazioni, che raccontano la forte affinità tra la manifestazione, i suoi valori e la piattaforma.

Un punto non sempre compreso dai brand.
Analizzando le collabs dei marchi a tema Pride, troviamo infatti un numero limitato di attivazioni, segno dell’attenzione, forse timore, verso un evento comunque divisivo. Sono solo 10 i contenuti realizzati in occasione di campagne di influencer marketing sulla piattaforma, per lo più ad appannaggio di brand beauty. Pochi video, ma con performance notevoli: sono infatti 6.8 milioni le views generate.
Su Instagram invece troviamo un maggior numero di attivazioni (29), ma anche risultati più limitati, figli di progettualità non troppo strutturate. I Reel sono il formato di contenuto più scelto (e performante).
Non esiste un solo pubblico Pride
Grazie all’analisi realizzata con Audiense emergono 4 principali cluster di audience coinvolti nel conversato sul Pride:
- LGBTQ+ Community: estroversa, social native, recettiva alle campagne marketing.
- Antifascist Voices: politicizzate, attive, attente ai valori dei brand.
- Italian Freedom: informata, attenta alla reputation e all’utilità del messaggio.
- Family & Politics: più chiusa, polarizzata, ma sensibile alle campagne ben costruite.
Il punto? Non esiste un unico pubblico Pride. Esistono sensibilità diverse. E ogni messaggio, per essere rilevante, deve tenerne conto.
Il Pride non chiede visibilità. Chiede posizionamento
Nel 2025 i brand sono diventati più prudenti. Meno campagne. Più silenzi. Più attesa.
Un cambio di fase.
Perché attivarsi oggi sul Pride significa prendere posizione.
Esporsi. Essere disposti ad ascoltare, a rispondere, a farsi mettere in discussione.
Non è per tutti. Ma è per chi vuole contare qualcosa.
Chi vuole costruire, marca nel tempo.
Chi capisce che la reputazione non si costruisce solo su ciò che si dice, ma su ciò che si è disposti a sostenere quando la narrazione si fa complessa.